Andrea Contrini Fotografia
La quiete dopo la battaglia
Nell'autunno 1916 si concludevano le due battaglie della Grande guerra
i cui nomi diventarono sinonimo di orrore e morte di massa: Verdun e la Somme.
Nel 1916 la guerra di movimento era un lontano ricordo che aveva ceduto il passo ad una teoria infinita di trincee, di fortini e di filo spinato che dalla costa belga attraversava la Francia fino alla Svizzera: il Fronte Occidentale era l'incarnazione della guerra di posizione e di logoramento.
In questo contesto il generale tedesco von Falkenhayn decise un attacco alla città di Verdun in Lorena. L'obiettivo non consisteva nel conquistare territori ma "dissanguare goccia a goccia" l'esercito francese. Tutto il progresso e lo sviluppo industriale maturati nella Belle Époque furono messi al servizio della cosiddetta "guerra di materiali": "non vere e proprie battaglie, ma catene di montaggio della distruzione", come sostiene lo storico Antonio Gibelli. Il tritacarne di Verdun non fece distinzione tra le divise blu francesi e quelle grigie tedesche, perché l'unica finalità sembrò essere l'annientamento dell'essere umano.
Una cosa simile avvenne sulle pianure ondulate della Somme in Piccardia. Il 1° luglio 1916, inizio dell'offensiva anglo-francese che intendeva sfondare le linee nemiche ed alleggerire il fronte di Verdun, si trasformò nel giorno più sanguinoso della storia dell'esercito britannico con 57.470 perdite di cui 19.240 morti. Il massacro proseguì per tutti i successivi cinque mesi.
Ispirandomi ai racconti dei testimoni dell'epoca ho intrapreso un viaggio alla scoperta dei due campi di battaglia, parte di un progetto più ampio dedicato al Fronte Occidentale e proseguendo quelli già realizzati sulle tracce della guerra d'alta montagna in Trentino, dove vivo. Progetti che nascono quindi dai libri, per voler capire cosa e come è successo in Italia ed in terra di Francia, esplorando ciò che rimane ma anche quello che in cento anni è cambiato.
Ora sono luoghi immersi nel silenzio, lontani nel tempo dal frastuono delle bombe e nello spazio dai frenetici ritmi della vita contemporanea. Vi si respira quella particolare quiete della natura che avanza e che tenta di immergere nella sua bellezza un paesaggio tuttora dilaniato. E' qui che affiora il passato, con i suoi frammenti di vita e di morte: i contadini della Somme ogni anno mietono un raccolto di barbabietole e di acciaio, nei boschi di Verdun i monconi di una chiesa sono tutto ciò che resta della vita bucolica di un paese d'anteguerra, mentre le mura sbrecciate delle fortezze evocano la potenza delle tempeste di fuoco.
E' qui che le nazioni del dopoguerra opposero alla spersonalizzazione della morte seriale le croci, i monumenti e gli ossari. E le lanterne di questi ultimi, come fari nella notte, ricordano all'umanità il buio che ha pervaso il mondo all'alba della modernità.

Un faro nella notte: la lanterne des morts (lanterna dei morti) dell'Ossario di Douaumont veglia sui caduti e sul campo di battaglia. "Verdun uccise circa 305.440 uomini, su un totale di 708.777 perdite. Quasi un morto al minuto, giorno e notte, per tutti i dieci mesi in cui durò la battaglia", Ian Ousby. Negli ultimi decenni l'Ossario è diventato luogo di celebrazione della riconciliazione franco-tedesca, come gli incontri tra François Mitterrand ed Helmut Kohl nel 1984 e tra François Holland

Il terreno torturato dai bombardamenti sul conteso crinale tra Thiaumont e Douaumont nei pressi del rifugio sotterraneo della fanteria francese Abri 320. Il campo di battaglia era dominato dalla potenza distruttiva dell'artiglieria, che aveva trasformato le alture boschive della Mosa in un paesaggio lunare. In questo scenario apocalittico, i soldati di fanteria avevano pochi punti di riferimento per orientarsi e spesso smarrivano la via, perdendosi nella distesa infinita dei crateri.

Cupole osservatorio e torri per l'artiglieria sulla sommità di Fort Douaumont.

Ideata dal generale Philippe Pétain, la Voie Sacrée (Via Sacra, come fu battezzata con mistica religiosa) rifornì per tutta la durata della battaglia le linee francesi, permettendo di resistere ai continui attacchi tedeschi.

Nove villaggi attorno a Verdun vennero rasi al suolo dai combattimenti e dichiarati morts pour la France (morti per la Francia): Beaumont, Bezonvaux, Cumiéres, Douaumont, Fleury, Haumont, Louvemont, Vaux e Ornes. Quest'ultimo nel 1913 contava 718 abitanti, oggi rimangono solamente le mura sbrecciate della chiesa.

Una casamatta Pamart a Fort Tavannes. Prendendo il nome dal suo inventore, questa postazione blindata provvedeva alla difesa ravvicinata del forte: dalle feritoie spuntavo due mitragliatrici che sparavano ad alternanza così da evitare il loro surriscaldamento.

Granate d'artiglieria inesplose sulla collina del Mort-Homme. Negli anni '90 del secolo scorso, il governo francese stimò che qualcosa come dodici milioni di obici d'artiglieria, mine e altri proiettili inesplosi continuavano a giacere nelle terre attorno a Verdun.

Oggi Fort Souville è una rovina pericolante immersa nel bosco ma dopo la caduta dei forti Douaumont e Vaux divenne l'ultimo baluardo a difesa della città e quindi di vitale importanza strategica per l'esercito francese. Tra il maggio e il luglio 1916 fu in grado di resistere agli infernali bombardamenti dell'artiglieria tedesca che utilizzò anche il "gas dalla croce verde", come era chiamato il fosgene per via del segno identificativo sui proiettili. Dopo quei lanci scomparvero perfino le mosche

Il tunnel di Tavannes, che corre sotto le alture della Mosa, faceva parte della linea ferroviaria Verdun-Metz. La guerra interruppe il collegamento e l'esercito francese trasformò la galleria in alloggio e rifugio per la truppa, magazzino, posto di primo soccorso e posto di comando. Il 4 settembre 1916 l'esplosione di un deposito munizioni provocò un incendio che si protrasse per due giorni uccidendo più di 500 uomini.

Questi terreni, oggi coltivati, fino al 1° luglio 1916 erano terra di nessuno tra le linee tedesche della ridotta Schwaben e quelle britanniche del bosco di Thiepval.

Il cratere Lochnagar nei pressi del villaggio de La Boiselle.

Il dragone rosso del Galles indica la direttrice d'attacco della 38th (Welsh) Division che nei cinque giorni della battaglia per il bosco di Mametz perse 4.000 uomini.

Sotto la vegetazione del bosco di Delville sono ancora visibili le trincee ed i crateri delle esplosioni. Dopo un mese e mezzo di scontri per il possesso del bosco entrambi gli eserciti avevano subito perdite spaventose: la 1ª brigata di fanteria sudafricana l'80% degli effettivi mentre il 26° reggimento di fanteria tedesco il 97%. L'intera zona era un deserto nel quale si ergeva, sopravvissuto, un solo albero.

Il modello in scala del Mark I nel Tank Corps Memorial a Pozières ricorda il punto da dove partirono i carri armati il 15 settembre 1916, quando vennero impiegati per la prima volta in guerra nella battaglia di Flers-Courcelette. L'avanzata si arrestò dopo circa tre chilometri a causa dei guasti meccanici e del fuoco nemico ma la nuova arma gettò il terrore tra le linee tedesche, diventando un simbolo della guerra moderna.

Al museo Somme 1916 di Albert, l'ammasso dei relitti rinvenuti sul campo di battaglia rivela la natura industriale e di massa della Grande Guerra.

Il Memoriale di Thiepval si erge nel cuore del campo di battaglia. Sulle sue pareti sono incisi i nomi dei 72.191 soldati britannici dispersi sulla Somme che non hanno mai ricevuto una sepoltura. Durante la battaglia l'esercito britannico perse più di 600.000 uomini, di cui 146.431 morti o dispersi: un morto per ogni centimetro di terreno conquistato.